La basilica di Santa Maria Novella è
una delle più importanti chiese di Firenze e sorge sull'omonima piazza.
Santa Maria Novella era per
Firenze il punto di riferimento per un altro importante ordine mendicante, i
domenicani.
La facciata marmorea di Santa
Maria Novella è fra le opere più importanti del Rinascimento
fiorentino, pur essendo stata iniziata in periodi
precedenti e completata definitivamente solo nel 1920. La chiesa fu costruita tra
l’inizio del XIV e la fine del secolo successivo.
1) La Natività mistica è un dipinto ad olio su tela (108,5x75 cm) di Sandro Botticelli, datato 1501 e
conservato alla National Gallery diLondra.
L'opera è l'unica firmata e datata da
Botticelli; nonostante ciò la sua storia è piuttosto oscura. Si pensa che fosse
originariamente destinata alla devozione privata di qualche famiglia nobiliare
fiorentina ed è spesso citata come ultimo capolavoro dell'artista, prima di un
periodo di inattività prima della morte, testimoniato anche da una lettera a Isabella d'Este del 1502.
Venne acquistata dal museo londinese
nel 1848. La tavola è
caratterizzata da colori squillanti ripetuti ritmicamente (come nelle vesti
alternate degli angeli) e da una disposizione estremamente libera delle figure,
ormai lontana dalla rigida geometria prospettica della cultura fiorentina del
primo Quattrocento. Numerosi sono gli elementi arcaizzanti, a partire dal fondo
oro, per proseguire con le proporzioni gerarchiche, che rimpiccioliscono
gli angeli rispetto alla Sacra Famiglia, fino alla presenza dei cartigli legati
ai rami d'ulivo. Lo spazio invece appare notevolmente dilatato, grazie allo
stratagemma di aprire un varco nella grotta e di disporre i personaggi su più
piani, che aumenta il senso di profondità. Se forti sono le simmetrie e i ritmi
di fondo, nel dettaglio gli atteggiamenti dei personaggi sono i più vari e
creano un dinamismo che non manca mai nelle opere dell'artista. Forte è la
componente visionaria, che contraddice però proprio questa attitudine a forme
conservatrici, dal cui contrasto scaturisce la particolarità del dipinto.
2) Il Crocifisso di Santa Maria Novella è una delle croci sagomate
(tempera e oro su tavola, 578x406 cm) di Giotto,
databile al 1290-1295 circa e conservato nella navata centrale
della Basilica
di Santa Maria Novella a Firenze. Si tratta di una delle prime
opere note nel catalogo dell'artista, allora circa ventenne. La fonte più antica che
ricorda la croce di Giotto nella basilica domenicana di Firenze è il testamento
di un certo Ricuccio di Puccio del Mugnaio, datato 15 giugno 1312, in cui veniva
destinata una certa somma per tenere accesa una lampada davanti al crocifisso.
Un'altra fonte antica che ricorda la presenza dell'opera giottesca sono i Commentari di Lorenzo Ghiberti (metà del XV secolo), seguito poi da Vasari che parlò di una collaborazione con Puccio Capanna.
La Croce è stata
oggetto di intense discussioni da parte degli studiosi, riguardo alla sua
corretta identificazione e al contributo del maestro rispetto ad aiuti vari. In
occasione di un primo restauro effettuato per la mostra giottesca del 1937 molti si dichiararono favorevoli a una
piena autografia, ma Richard Offner (1939) e Millard Meiss (1960) preferirono parlare più
prudentemente del Maestro delle Storie di san Francesco ad Assisi, quello che oggi viene
talvolta chiamato come il "non Giotto" nelle complesse discussioni
relative alla questione giottesca. Oggi le posizioni appaiono
acquietate verso l'autografia di Giotto. Gli ultimi dubbi sono stati fugati dal
restauro dell'Opificio delle Pietre Dure concluso nell'autunno del 2001, in cui è riscoperta
la qualità altissima sia della fattura che del disegno sottostante, e sono
state evidenziate stringenti affinità tecniche con altre opere riferite al
giovane Giotto, come la Madonna di Borgo San Lorenzo e la Madonna di San Giorgio alla Costa
Lo stesso
avvenne riguardo alla datazione della Croce, con oscillazioni tra la fine degli
anni ottanta del Duecento e il Trecento inoltrato. La scoperta del testamento
di Ricuccio ha posto un primo termine ante quem, anticipato ulteriormente
al 1301, anno in cui il
lucchese Deodato Orlandi firmò una croce per le clarisse di San Miniato al Tedesco evidentemente ispirato a quello di
Santa Maria Novella, in cui si abbandonavano le convenzioni "alla
greca" seguite fino a pochi anni prima da Cimabue e tutti gli altri pittori. Si è
assestata quindi una datazione agli anni novanta del Duecento, facendone così
una delle prime opere del catalogo dell'artista. Nonostante la straordinaria
innovazione iconografica infatti, la stesura pittorica o la posa dei dolenti
rimanda ancora all'esempio di Cimabue. La Croce di Giotto è considerata un'opera
fondamentale per la storia dell'arte italiana,
in quanto l'artista approfondisce e rinnova l'iconografia delChristus patiens (già introdotta nell'arte italiana
nella seconda metà del Duecento da Giunta Pisano e da Cimabue).Giotto
infatti abbandonò l'iconografia del Cristo inarcato, per dipingerlo in una posa
più naturalistica, un doloroso abbandono con le gambe piegate sotto il peso del
corpo, seguendo un'ispirazione legata alla tradizione scultorea (di Giovanni Pisano ad esempio), piuttosto che quella
tradizionalmente legata alla pittura bizantina. Dispose le gambe incrociate e
bloccate da un solo chiodo sui piedi, in una maniera già usata daNicola Pisano nella lunetta della Deposizione nel portale sinistro del Duomo di Lucca (1270 circa). Durante il restauro dell'opera sono state
evidenziate alcune particolarità rimaste, fino ad allora, sconosciute, tra cui
l'estrema raffinatezza di una bottega che si avvaleva di maestranze esperte e
raffinate e il cambiamento in corso d'opera da parte di Giotto nella
impostazione più allungata e reclinata della figura di Cristo (fatto che
comportò un cambiamento anche della struttura lignea già costruita). I due dolenti, alle estremità
dei bracci, mostrano come di consueto Maria e san Giovanni a metà figura. Se
nel Giovanni si nota un'influenza di Cimabue abbastanza spiccata, la Madonna richiama modelli
romani, forse visti in occasione di un primo viaggio a Roma al seguito del suo
maestro. Inoltre il Crocifisso ricorda nell'insieme quello dipinto ad Assisi nella scena di Girolamo che esamina le stimmate.
3) La Trinità è un affresco di Masaccio, conservato nella terza campata della navata sinistra della basilica
di Santa Maria Novella a Firenze e databile al 1426-1428. Misura 317x667 cm ed è
universalmente ritenuta una delle opere fondamentali per la nascita del Rinascimento nella storia dell'arte. Si
tratta dell'ultima opera conosciuta dell'artista, prima della morte avvenuta a
soli 27 anni. Nessun documento scritto attesta la data
esatta di esecuzione del dipinto e l'identità del committente, nonostante sia
raffigurato, con la moglie, ai piedi del dipinto; a proposito di quest'ultimo è
stata formulata l'ipotesi che si tratti di un priore domenicano presente in quegli anni nel convento,
Fra' Benedetto di Domenico di Lenzo, e che l'opera sia stata eseguita in
onoranza di un suo congiunto defunto in quegli anni, fatto ritrarre
nell'affresco assieme a sua moglie. L'affresco
si trova in posizione asimmetrica nella campata, esattamente davanti alla porta
che conduceva al cimitero della basilica. Il dogma della Trinità era
dopotutto un tema di importanza fondamentale per i domenicani,
proprietari della chiesa, come testimonia la posizione di rilievo dell'affresco
all'interno della navata. Alla
complessa creazione tematica del dipinto dovette sicuramente partecipare un
teologo del convento, che Berti (1988) ha ipotizzato potesse essere Fra'
Alessio Strozzi, religioso, umanista e matematico che frequentava artisti come Lorenzo Ghiberti e Filippo Brunelleschi. La
progettazione dell'opera dovette richiedere parecchi mesi, con un preciso
calcolo delle proporzioni che necessita la parziale chiusura della finestra
sulla parete per guadagnare altezza. Lo stato di conservazione dell'opera
mostra ampiamente i segni dell'usura derivanti dal tempo e, ancor più, dalle
varie e curiose vicissitudini seguite nel corso della storia. L'opera infatti
si è fortunatamente conservata sino a noi grazie al genio di Giorgio Vasari.
Egli, incaricato di smontare il tramezzo dove l'opera era collocata (per
ragioni legate alla Controriforma), non trovando altro luogo dove conservarla
all'interno della chiesa (poiché ne riconosceva l'immenso valore storico
artistico), decise di ricollocarla dietro ad un nuovo altare e applicarvi una
serie di accorgimenti in modo tale che l’opera di Masaccio non subisse nel
frattempo ulteriori danni. In questo modo quest'opera si è preservata quasi
intatta. L'altare soprastante era sormontato da una grande pala dedicata alla Vergine
del Rosario realizzato,
per la famiglia Capponi dallo
stesso Vasari. Solo nel 1860 l'affresco della Trinità fu "riscoperto", trasportato
su tela ed incollato sulla controfacciata della chiesa. Nel 1952, quando fu rimosso
l'altare che nascondeva lo scheletro ed il sarcofago, si decise di risistemare
l'affresco nella sua collocazione originale. Un ulteriore restauro eseguito tra
il 1999 ed il 2001 ha consentito un importante, anche se
parziale, recupero delle tonalità originali dell'affresco.
Se fino ad allora Masaccio era stato l'artista del reale, che calava le
sacre scene, pur nella loro inalterata solennità, nella vita di tutti i giorni,
con la Trinità si fa
teologo, entrando a fondo nel mistero divino[7].
La prima impressione che si ha alla vista dell'affresco è quella di un
monumento alla razionalità, con una simmetria e un ordine di iconico
misticismo, dove l'immobilità è simbolo dell'atemporalità del dogma cristiano[7].
Il dipinto appare
monumentale, finalizzato a creare, attraverso l'uso della prospettiva,
l'illusione di una cappella popolata da figure alquanto ieratiche e pesanti,
quasi fossero statue policrome. L'affresco appare progettato per essere visto
dal lato opposto della navata. È il corpo di Cristo,
posto in posizione centrale rispetto alla struttura piramidale del gruppo, lo
snodo visivo e concettuale del registro superiore dell'affresco. Sul suo petto
si intersecano le linee rette ideali tangenti al capo delle due coppie
(donatore-Maria, donatrice-San Giovanni).
I
colori impiegati fanno riferimento ad una tavolozza volutamente ristretta,
interamente giocata su diversi toni del grigio, del blu e del rosso. Nelle
architetture e nelle vesti dei personaggi il blu ed il rosso sono impiegati in
termini oppositivi secondo precise simmetrie la cui interpretazione rimane
alquanto criptica.
4) La Cappella Tornabuoni è
la Cappella Maggiore
della basilica
di Santa Maria Novella a Firenze. Contiene uno dei più vasti
cicli di affreschi di tutta la città, realizzato da Domenico Ghirlandaio e bottega dal 1485 al 1490.
La
Cappella Maggiore di
Santa Maria Novella venne affrescata una prima volta verso la metà del XIV secolo dall'Orcagna. Resti di questi affreschi più
antichi furono rinvenuti durante i restauri degli anni '40 del Novecento,
quando, soprattutto nella volta,
riemersero figure di personaggi dell'Antico Testamento sotto gli affreschi successivi,
che vennero a loro volta staccate ed oggi sono esposte nell'ex-refettorio che
fa parte del Museo di Santa Maria
Novella. Gli
affreschi vennero più volte restaurati; nel XVIII secolo se ne occupò
probabilmente Agostino Veracini,
che curò anche quelli del vicino Cappellone degli Spagnoli.
Nel 1804 la cappella maggiore venne
ristrutturata; in quell'occasione andò dispersa la Pala Tornabuni, che
finì sul mercato antiquario approdando, smembrata, nei musei di Monaco e
Berlino. Nel1861 l'altare principale della basilica
venne sorprendentemente messo in posizione avanzata nella cappella, al posto
dell'antica collocazione a ridosso della parete. Si venne così a perdere il
punto di vista ideale degli affreschi, che era proprio dove si trova l'altare.
Gli affreschi hanno come tema le Scene
della vita della Vergine e di san Giovanni Battista, inquadrate da finte
architetture (pilastri con capitelli corinzi dorati e trabeazioni con dentelli,
sulle tre pareti disponibili. Le scene si leggono dal basso verso l'alto, da
destra a sinistra, secondo uno schema che già all'epoca doveva risultare un po'
arcaico[2].
Le due pareti principali, a destra e a sinistra, presentano tre file di
scene ciascuna, a sua volta divise in due scene rettangolari, ed una grande
lunetta sulla sommità, per un totale di sette scene a parete. La
parete di fondo presenta la grande trifora con vetrate policrome, eseguite nel 1492 da Alessandro Agolanti su disegno di Ghirlandaio stesso;
rappresenta i principi degli apostoli, Pietro e Paolo, poi due santi
particolarmente venerati a Firenze, Giovanni Battista e Lorenzo, e a
seguire due santi domenicani Domenico di Guzman e Tommaso d'Aquino,
per culminare al centro con due miracoli della Madonna: ilSacro cingolo e il Miracolo della neve.
In basso, tra
gli affreschi, i due committenti inginocchiati, Giovanni Tornabuoni e sua moglie Francesca Pitti, mentre
nei due registri superiori ai fianchi della finestra si trovano due coppie di
scene più piccole, sormontate da un'unica grande lunetta che conclude il ciclo
con l' Incoronazione della Vergine.
Nelle vele della volta a crociera costolonata si trovano i quattro Evangelisti.
5) La Cappella di Filippo Strozzi (o di San Giovanni Evangelista) si trova nel transetto destro della basilica
di Santa Maria Novella aFirenze, accanto alla cappella centrale. È
celebre per gli affreschi di Filippino Lippi, realizzati tra il 1487 e il 1502. La decorazione della cappella fu
commissionata da Filippo Strozzi il vecchio nel 1486, vent'anni dopo il
suo rientro dall'esilio a Napoli, quando stava
iniziando un vasto programma di riabilitazione del suo nome e della sua
famiglia che si esplicò anche nella costruzione del celeberrimo palazzo Strozzi.
Quell'anno il banchiere acquistò il giuspatronato dai Boni della cappella già dedicata a san Giovanni Evangelista. In data 21 aprile 1487 veniva stipulato il contratto con il
pittore Filippino Lippi,
uno degli artisti più all'avanguardia nella scena fiorentina dell'epoca, il
quale avviò, per un compenso pattuito di 350 fiorini d'oro, il programma pittorico negli
anni immediatamente successivi, entro il 1488. Il committente morì
già nel 1491, senza protestare per
la dilazione dei lavori che sarebbero dovuti essere conclusi da contratto entro
il 1490. Tanto meno lo fecero gli eredi, che lasciarono lavorare l'artista
senza problemi di tempo, venendo conclusa solo nel 1502, a quindici anni
dalla stesura del contratto. La maggior parte dei pagamenti all'artista avvenne
infatti nel 1494-1498, ad opera di Alfonso Strozzi, figlio di Filippo. Alfonso
fu uno dei più attivi oppositori di Savonarola;
il frate nelle sue prediche attaccò coloro che si facevano allestire monumenti
funebri particolarmente sontuosi e la cappella Strozzi fu in quel senso uno dei
più vistosi del momento. I lavori avevano subito un'interruzione per il
soggiorno romano dell'artista durante il quale aveva affrescato la cappella Carafa in Santa Maria Sopra Minerva (1488-1493), per rientrare a
Firenze e lavorare intensamente tra il 1494 e il 1495, poi più lentamente
tra il 1497 e la conclusione. Probabilmente gli
affreschi seguirono lo schema classico dei lavori di tale genere: iniziati
dagli spicchi della volta, seguirono nelle lunette, nella parete centrale e
poi, sicuramente dopo il soggiorno romano, le due scene di Miracoli nel registro mediano, con il termine
nella scena della Resurrezione di Drusiana, dove si
trova la data 1502. La presenza di fastose architetture
"archeologiche" fa pensare all'influenza ricevuta dai monumenti
romani durante il suo soggiorno nella città eterna. Lo stile segna la maturità
dell'artista e il definitivo distacco dai modi di Sandro Botticelli:
per la sfarzosità, i capricci e l'attenzione ai dettagli, questi affreschi
vengono indicati come una delle più antiche testimonianze della maturazione di
un gusto manierista a Firenze.
Le vetrate, disegnate dallo stesso Filippino, vennero installate solo dopo la
morte del committente, fra il giugno e il luglio 1503.
6) Il Chiostro Verde fa parte
del complesso del convento
di Santa Maria Novella, appartenuto all' ordine domenicano a Firenze. Oggi fa parte del Museo di
Santa Maria Novella, uno dei musei civici della città. Da Chiostro Verde, vero
cuore del complesso, si accede al Cappellone degli
Spagnoli, al Chiostro dei Morti ed al Chiostro Grande. Questa parte del convento venne costruita dal 1332 al 1350 circa su progetto di Fra' Jacopo Talenti, con arcate
a sesto ribassato su pilastri ottagonali. I costoloni dipinti a imitazione dei
conci bicromi, furono aggiunti nel restauro del 1859, per armonizzare con
lo stesso motivo usato all'interno della chiesa. Si accede al chiostro verde,
oltre che dalla chiesa, da un passaggio a sinistra della facciata, da piazza Santa Maria Novella, tramite un
lungo androne con lapidi funebri ed alcune tracce di affreschi tre e
quattrocenteschi. Il chiostro venne affrescato con pitture in terra verde (un
pigmento a base di ossido di ferro e acido silicico),
da cui il nome, nella prima metà del Quattrocento. Restaurato nel 1859, fu danneggiato
durante l'alluvione del 1966. Gli affreschi furono quindi
tutti staccati, prelevate le sinopie (che oggi sono nei depositi della
soprintendenza, e ricollocati nel 1983, anche se per alcune
lunette i restauri procedono tutt'oggi.
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